Mercoledì, 19 Gennaio 2011 17:49

Il Vangelo secondo Marchionne

Scritto da  Gerardo

A poche settimane di distanza dalla "evangelica" dedicata a Ruini, presentiamo il recente articolo di Marco Politi, pubblicato ne "il Fatto Quotidiano", in cui la "dedica" è stavolta indirizzata all'AD della Fiat, Sergio Marchionne.





Il Vangelo secondo Marchionne
di Marco Politi


Quanto c’è di cristiano nelle nuove regole imposte da Marchionne a Mirafiori? L’interrogativo potrebbe suonare paradossale, ma si pone dal momento che il firmatario-guida del documento, Raffaele Bonanni, è il leader del sindacato che si richiama consapevolmente alla Dottrina sociale della Chiesa. Tanto più che la Cisl in anni passati si è spesa per portare gli altri sindacati confederali a festeggiare il 1º maggio in piazza San Pietro e, più recentemente, si è schierata con la Conferenza episcopale in quel Family Day, che sabotò la legge sulle coppie di fatto. Nel crollo delle ideologie il sindacato di matrice cattolica ha sempre voluto attingere al patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, arricchito da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Giovanni Paolo II ha dedicato al tema lavoro molta parte del suo magistero. All’inizio – sul piano geopolitico – l’attenzione era focalizzata sul diritto dei lavoratori polacchi di organizzarsi in un sindacato “indipendente” (sebbene da subito, negli anni Ottanta, difendesse a São Paolo anche i diritti dei sindacati brasiliani, guidati dall’allora trotzkista Lula). Tuttavia, dopo il crollo dell’impero sovietico, Wojtyla ha continuato negli anni Novanta a occuparsi energicamente dell’argomento a fronte di un capitalismo che lui chiamava “radicale”, cioè tendente a sopraffare ogni regola. Lontanissimo e anzi avverso ad ogni concezione di antagonismo di classe, Karol Wojtyla ha messo al centro della sua riflessione il carattere del lavoro come “dimensione fondamentale dell’esistenza”, rigettando quel tipo di prassi in cui “l’uomo viene trattato come strumento di produzione” e il lavoro come semplice “merce”. E usando questi termini – cattolici – sottolineava che il pericolo non andava relegato all’epoca dell’industrializzazione primitiva, ma appartiene al tempo presente laddove prevalga una “civiltà unilateralmente materialistica”.

IL PERICOLO di trattare l’uomo come mera “forza lavoro” – scriveva nella sua enciclica Laborem Exercens – “esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell'economismo materialistico”. Ciò che colpisce nel documento Mirafiori, esaltato come innovativo, simbolo di modernità, spartiacque di una nuova era da coloro che quasi certamente non lo hanno nemmeno letto, è precisamente il fatto che non c’è nulla di innovativo. Non è una rivoluzione nell’organizzazione della produzione o nell’individuazione di nuovi metodi di valorizzazione della persona-operaio. Non è neanche una rivoluzione o, più modestamente, un passo in avanti sulla via della partecipazione dei prestatori d’opera alla gestione dell’azienda: nel senso della Mitbestimmung, la cogestione tedesca, letteralmente “codeterminazione”. La vera carta che la Cisl per la sua tradizione potrebbe giocare e di cui non c’è traccia nel documento Mirafiori.
Il punto non è dunque di schierarsi aprioristicamente per l’una o l’altra componente sindacale, il punto è di valutare le norme del contratto.

E qui, in tema di rappresentanza, la divaricazione con la dottrina sociale della Chiesa è totale. Sosteneva Giovanni Paolo II che il diritto di associarsi è fondamentale perché ha come scopo la “difesa degli interessi vitali degli uomini impiegati nelle varie professioni”. Cioè di assicurare la “tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione”. Il corollario, nella vicenda Solidarnosc, era che non toccava al proprietario dell’azienda – lo Stato in questo caso – decidere chi potesse parlare o no a nome dei lavoratori. Leggendo il testo Mirafiori (e sono gli articoli su cui Bonanni tiene un profilo bassissimo, perché sa che gridano vendetta al cospetto di Dio… per usare un linguaggio biblico) si vede che tutti i paragrafi sotto il titolo “Sistema di relazioni sindacali” sanciscono il radicale smantellamento della presenza in azienda di qualsiasi organizzazione sindacale, che dissenta dal contratto firmato. Chi ha il 51%, cancella gli altri.

ORA UN CONTO è accettare democraticamente i risultati di un referendum, un conto è imbavagliare totalmente un soggetto sindacale che la pensa diversamente. L’articolo 1 permette la costituzione di rappresentanti sindacali soltanto alle Organizzazioni firmatarie. Chi non è Organizzazione firmataria NON usufruisce di permessi sindacali (art. 2), NON può convocare un’assemblea (art. 3), NON ha diritto a un locale per esercitare le funzioni di rappresentanza sindacale (art. 5), NON fa più parte del sistema per cui l’azienda trattiene direttamente dallo stipendio i contributi sindacali versandoli alle rappresentanze. L’abolizione della legge 1993 sull’elezione dei delegati in azienda (festeggiata dai ministri berlusconiani Sacconi e Romani) e la clausola di umiliazione, per cui chi aderisce dopo deve ottenere il consenso di “tutti” i firmatari, completano un impianto che cozza contro la libera partecipazione dei prestatori d’opera e l’organizzazione sindacale dentro l’azienda come “indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate”. (Laborem Exercens) Per chi ritenesse che gli anni passano, Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in Veritate del 2009 sottolinea come segno caratteristico dell’epoca contemporanea la diminuzione delle libertà sindacali e della capacità negoziale dei sindacati. Tuttavia che si arrivasse a dividere i “bianchi” dai “neri” neanche un papa poteva prevederlo.

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